lunedì 15 luglio 2013

Timidezze

Lo capisco e sarebbe anche bello. Tu sei paziente, tu mi aspetti ai bivi solitari per insegnarmi la strada, tu sei veramente discreto, tu fai perfino mostra di fuggirmi, con diplomazia tutta orientale, e non osi neppure rivelare il tuo volto. Tu vuoi soltanto farmi capire - mi sembra - che il tuo monarca mi aspetta in mezzo al deserto, nel palazzo bianco e meraviglioso, vigilato da leoni, dove cantano fontane incantate. Sarebbe bello, lo so, lo vorrei proprio. Ma la mia anima è deprecabilmente timida, invano la redarguisco, le sue ali tremano, i suoi dentini diafani battono appena la si conduce verso la soglia delle grandi avventure. Così sono fatto, purtroppo, e ho davvero paura che il tuo re sprechi il suo tempo ad aspettarmi nel palazzo bianco in mezzo al deserto, dove probabilmente sarei felice.







D. Buzzati - Sessanta racconti - Mondadori

venerdì 12 luglio 2013

POIEIN

Il bacio della sfinge -  F. Von Stuk
Bacio



Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò li
Siamo fatti della stessa materia
di cui sono fatti i sogni
Vorrei essere una nuvola bianca
in un cielo infinito
per seguirti ovunque e amarti ogni istante
Se sei un sogno non svegliarmi
Vorrei vivere nel tuo respiro
Mentre ti guardo muoio per te
Il tuo sogno sarà di sognare me
Ti amo perché ti vedo riflessa
in tutto quello che c'è di bello
Dimmi dove sei stanotte
ancora nei miei sogni?
Ho sentito una carezza sul viso
arrivare fino al cuore
Vorrei arrivare fino al cielo
e con i raggi del sole scriverti ti amo
Vorrei che il vento soffiasse ogni giorno
tra i tuoi capelli,
per poter sentire anche da lontano
il tuo profumo!
Vorrei fare con te quello
che la primavera fa con i ciliegi.





Pablo Neruda

giovedì 11 luglio 2013

...speranza infinita.


Negli anni più vulnerabili della mia giovinezza, mio padre mi diede un
consiglio che non mi è mai più uscito di mente.
«Quando ti viene la voglia di criticare qualcuno» mi disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu.»
Non disse altro, ma eravamo sempre stati insolitamente comunicativi nonostante il nostro riserbo, e capii che voleva dire molto più di questo. Per questo ho la tendenza a evitare ogni giudizio, un'abitudine che oltre a rivelarmi molti caratteri strani mi ha anche reso vittima di non pochi scocciatori inveterati. La mente anormale è pronta a scoprire questa particolarità e ad aggrapparvisi, quando si manifesti in una persona normale, e così accadde che all'università fui ingiustamente accusato di essere un politicante perché ero al corrente dei dolori segreti di strani uomini sconosciuti. La maggior parte delle confidenze non erano provocate: spesso ho finto di aver sonno, o di esser preoccupato, o sono giunto a ostentare un'indifferenza ostile, quando capivo da qualche segno inconfondibile che si profilava all'orizzonte una rivelazione intima; perché le rivelazioni intime dei giovani, o almeno i termini nei quali questi le esprimono, di solito sono plagiarie e deformate da evidenti omissioni. L'evitare i giudizi è fonte di speranza infinita. Temo ancora adesso che perderei qualcosa se dimenticassi che, come mio padre mi ha snobisticamente insegnato e io snobisticamente ripeto, il senso della dignità fondamentale è distribuito con parzialità alla nascita.


F. S. Fitzgerald - Il grande Gatsby- Traduzione F. Pivano - Mondadori

mercoledì 10 luglio 2013

Quasi.


E' fatto! Meno tremendo di quanto lei pensasse; e meno lungo. Non sono passati neanche quattro mesi, ed eccola completamente liberata. Un poco più magra, più pallida, più diafana, però leggera, col languore soave della convalescenza dentro cui già palpitano vaghe illusioni nuove. Oh è stata brava, eroica è stata, ha saputo essere crudele con se stessa, ha respinto con accanimento tutte le lusinghe dei ricordi, ai quali sarebbe stato pur dolce abbandonarsi. Distruggere tutto ciò che di lui restava nelle sue mani, fosse pure uno spillo, bruciare le lettere e le foto, buttar via i vestiti indossati quando c'era lui, sui quali forse gli sguardi suoi avevano lasciato una traccia impalpabile, sbarazzarsi dei libri che anch'egli aveva letto e la comune conoscenza stabiliva una complicità segreta, vendere il cane che ormai aveva imparato a riconoscerlo e gli correva incontro al cancello del giardino, abbandonare le amicizie che erano appartenute a entrambi, cambiare perfino casa perché a quel camino lui una sera si era appoggiato con un gomito, perché un mattino quella porta si era aperta, e dietro era apparso lui, perché il campanello della porta continuava a dare lo stesso suono di quando lui veniva, e in ogni stanza le sembrava così di riconoscere una misteriosa impronta. Ancora: abituarsi a pensare ad altre cose, gettarsi in un lavoro massacrante per cui di sera, quando il pericolo si ridestava più insidioso, un sonno di pietra la atterrasse, conoscere nuove persone, frequentare nuovi ambienti, cambiare anche il colore dei capelli.
Tutto questo lei è riuscita a fare, con impegno disperato, non lasciando sguarnito un angolo, una fessura, da cui il ricordo potesse farsi strada. L'ha fatto. Ed è stata guarita. Ora è mattino, con un bel vestito azzurro che la sarta le ha appena mandato, Irene sta per uscire di casa. Fuori c'è il sole. Lei si sente sana, giovane, tutta lavata dentro, fresca come quando aveva sedici anni. Felice addirittura? Quasi.



D. Buzzati - Sessanta racconti - Mondadori 


martedì 9 luglio 2013

La regola del gioco...



"Impossibile fare qualcosa, solo guardarla per l’ultima volta all’incrocio dei due ingressi, vederla
allontanarsi, scendere la scala. La regola del gioco era questa, un sorriso nel vetro del finestrino e il diritto di seguire una donna e sperare disperatamente che la sua linea coincidesse con quella che avevo deciso io prima di ogni viaggio; e allora - sempre, finora -, vederla prendere una diversa direzione e non poterla seguire, obbligato a tornare al mondo di sopra e entrare in un caffè e continuare a vivere finché poco a poco, ore o giorni o settimane, la sete reclamando di nuovo la possibilità che tutto coincidesse finalmente, donna e vetro di finestrino, sorriso accettato o rifiutato, coincidenze di treni e allora finalmente sì, allora il diritto di avvicinarmi e di pronunciare la prima parola, spessa di tempo ristagnante, di interminabile vagare nel fondo del pozzo fra i ragni del crampo. "









J. Cortàzar - Manoscritto trovato in una tasca -Traduzione a cura di Alessio Arena - Pubblicato su PB18

lunedì 8 luglio 2013

...nel vento

È il 1976. Il cielo è basso e pieno di nubi. Le nubi grigie sono bitorzolute, increspate e lucenti. Il cielo ha un aspetto cerebrale. Sotto il cielo c’è un campo, nel vento. A lato del campo corre un’autostrada pallida. Passano un sacco di macchine. Una delle macchine si ferma sul bordo dell’autostrada. Una giovane donna con il viso floscio fa scendere dalla macchina due bambini.


D. F. Wallace - La ragazza dai capelli strani - Minimum Fax

venerdì 5 luglio 2013

POIEIN


Antonio Ambrogio Alciati - Il convegno
La finestra sull'amore



L'intima ombra in cui

La radice che profuma di umidità.

modella a poco a poco la sua statura.

Quel calore impermeabile 

che avvolge piacevole la vita.

Da lì la linfa

il mistero affezionato a queste pareti, 

soavi, profonde

in cui cadiamo blandamente

ricercando l'origine.

Quando invento

un palato di miele nella tua bocca.

Carmen Yànez

giovedì 4 luglio 2013

...c'è uno che ti aspetta

In qualche lontana città che non conosci e dove forse non ti accadrà di andare mai, c’è uno che ti aspetta... là dove si nascondono gli ultimi segreti della vita, giorno e notte resta aperta per te la porta del suo palazzo favoloso... Tu stenti qui la vita, vai vestito di grigio, perdi già i capelli, i conti alla metà del mese sono penosi. Sei uno dei tanti. Di anno in anno ambizioni e speranze si rattrappiscono. Quando incontri le belle donne, non hai più neanche il coraggio di fissarle. Ma laggiù, nella città di cui ignori il nome, un potente signore ti aspetta per toglierti ogni pena: per liberarti dalla fatica, dall’odio, dagli spaventi della notte... In qualche lontana terra, ma potrebbe darsi invece che sia molto più vicino. Forse il signore potente ti aspetta in una delle nostre città che tu conosci. Ma forse potrebbe essere più vicino ancora, a non più di cento chilometri, in una cittadina di provincia. Ci sono qui delle piazzette fuori mano dove i camion non passano: e ai lati sorgono certe anziane case piene di dignità con festoni di rampicanti...Ma può essere anche molto più vicino, veramente a due passi, tra le mura della tua stessa casa. Sulla scala, al terzo piano, hai mai notato, a destra del pianerottolo, quella porta senza campanello né etichetta? Qui forse, per agevolarti al massimo, ti attende colui che vorrebbe renderti felice: ma non ti può avvertire. Perciò prova, la prossima volta che ci passi davanti, prova a spingere l’uscio senza nome. Vedrai come cede. Dolcemente ruoterà sui cardini, un impulso irragionevole ti indurrà ad entrare, resterai sbalordito... Ma tu non provi ad aprire, indifferente ci passi davanti, su e giù per le scale mattina e sera, estate ed inverno, quest’anno e l’anno prossimo, trascurando l’occasione... Tra le mura della tua stessa casa. Ma come escludere che sia ancora più vicino colui che ti vuole bene? Mentre tu leggi queste righe egli forse è di là dalla porta, bada, nella stanza accanto; se ne sta quieto ad aspettarti, non parla, non tossisce, non si muove, non fa nulla per richiamare l’attenzione. A te scoprirlo. Ma tu, uomo, non ti alzi nemmeno, non apri la porta, non accendi la luce, non guardi. Oppure, se vai, non lo vedi. Egli siede in un angolo, tenendo nella destra un piccolo scettro di cristallo, e ti sorride. Però tu non lo vedi. Deluso, spegni, sbatti la porta, torni di là, scuoti il capo infastidito da queste nostre assurde insinuazioni: fra poco avrai dimenticato tutto. E così sprechi la vita.




D. Buzzati - La boutique del mistero - Mondadori


mercoledì 3 luglio 2013

Ma a Parigi...

"Durante una delle solite cene a caffè e latte con la Lenormand uscii a dirle che su Parigi era disceso un freddo per me insopportabile fuori di casa, e che avevo intenzione di tornarmene in Italia, non fosse altro per provvedermi di un cappotto e degli abiti invernali.
La vedova aggrottò le sopracciglia. "Bene" - disse - "ve ne volete andare così, da un giorno all'altro? Per tornare sì e no magari in primavera? O forse mai più, se al vostro paese trovereste, come sarebbe giusto, un lavoro e magari una donna da sposare. Dopotutto, avete anche voi una madre che certo vi aspetterà. Andate, andate.".
Non seppi cosa rispondere. "Tuttavia" - o meglio toutefois, come aveva l'abitudine di dire ogni tre o quattro parole - "se è solo per il freddo, vi posso venire incontro. Ho in serbo tre o quattro maglie di lana nuove che mio figlio ha abbandonato qui partendo, e se non volete disdegnarlo, anche un cappotto di astrakan nuovo fiammante, anch'esso abbandonato da Maurice, che in quei paesi caldi dell'Estremo Oriente non avrebbe saputo cosa farsene."
Si alzò, mi portò le maglie ancora avvolte nelle carte trasparenti della fabbrica e le posò sul tavolo. Andò via un'altra volta e tornò reggendo un pesante cappotto di astrakan grigio che aveva l'aria di non essere stato mai portato o solo qualche volta, se ricordavo bene d'averle sentito dire che suo figlio era partito per l'Indocina nel novembre di due anni prima.
A prima vista mi era parso una pelliccia della Lenormand, di breitschwanz o di karakul, ma la donna presentandomela disse che si trattava di un capo di gran valore fatto confezionare da suo figlio prima della partenza presso un grande sarto. "Fu" - disse - "un'idea di Maurice. Voleva un cappotto non con la pelliccia all'interno come si usa comunemente, ma all'esterno. Diceva che in Russia, al tempo degli zar, i signori portavano cappotti di quel tipo lunghi fino ai piedi. Però è un po' lungo… Andrebbe portato con un colbacco dello stello pelo in testa e un paio di stivali ai piedi".
Mi vidi, quando avessi indossati quella pelliccia, simile a un Michgele Strogoff o a qualche personaggio di Tolstoi, ma non osai sorridere. Guardai bene il cappotto, che aveva una martingala sopra lo spacco posteriore e un colletto rialzato, come certi pastrani militari dell'epoca napoleonica. Era di colore grigio argento con riflessi quasi azzurri e una fodera di satin bleu all'interno, sulla quale spiccava l'etichetta di un sarto.
Al mio paese, con un cappotto simile non sari mai comparso. Ma a Parigi si può portare di tutto, anche un elmo col pennacchio. Nessuno si sarebbe mai voltato a guardarmi per strada."


P. Chiara - Il cappotto di astrakan - Mondadori

martedì 2 luglio 2013

...fino all'infinito

Quando era solo, José Arcadio Buendìa si consolava col sogno delle stanze infinite. Sognava di alzarsi dal letto, di aprire la porta e di passare in un'altra stanza uguale, con lo stesso letto dal capezzale di ferro battuto, la stessa poltrona di vimini e lo stesso quadretto della Vergine de los Remedios sulla parete infondo. Da quella stanza passava in un'altra stanza esattamente uguale, fino all'infinito. Gli piaceva andarsene di stanza in stanza, come in una galleria a specchi paralleli, finché Prudencio Aguilar gli toccava la spalla. Allora tornava di stanza in stanza, svegliandosi a ritroso, percorrendo la strada inversa, e trovava Prudencio Aguilar nella stanza della realtà.



G. G. Màrquez - Cent'anni di solitudine - Mondadori

lunedì 1 luglio 2013

...era irreparabile

...Nashe si rese gradualmente conto che la situazione era irreparabile. Era stato troppo a
lungo lontano da lei, e adesso che era tornato a riprenderla, era come se Juliette non si ricordasse di lui. Aveva creduto che bastassero le telefonate, che quelle conversazioni due volte la settimana l’avrebbero comunque tenuto vivo nella sua memoria. Ma che ne sanno i bambini di due anni delle telefonate interurbane? Per sei mesi non era stato per lei che una voce, una vaporosa collezione di suoni, e a poco a poco si era trasformato in un fantasma. Anche dopo due o tre giorni che lui era in casa, Juliette continuava a essere timida ed esitante, a ritrarsi di fronte ai suoi tenta- tivi di afferrarla come se non credesse più interamente alla sua esistenza. Era diventata parte della sua nuova famiglia, e lui era poco più di un intruso, un alieno piombato da un altro pianeta. Si maledisse per averla lasciata lì, per aver organizzato le cose così bene. Adesso Juliette era l’adorata principessina della famiglia. C’erano tre cuginetti più grandi con cui giocare, c’era il labrador, c’era il gatto, c’era l’altalena nel cortile, c’era tutto quello che potesse desiderare. Pensava con irritazione che suo cognato aveva usurpato l’affetto di Juliette, e col passare dei giorni faceva sempre più fatica a non mostrare il suo risentimento. Ray Schweikert, un ex giocatore di football che era diventato professore di matematica e allenatore della squadra della scuola, era sempre parso a Nashe una specie di testa di legno, ma non c’erano dubbi che coi bambini ci sapeva fare. Era Mister Bontà, il babbo americano dal cuore grande così, e con Donna a tenere insieme le cose, la famiglia era solida come una roccia. Adesso Nashe aveva un po’ di soldi, ma le cose erano davvero cambiate? Cercò di immaginare i vantaggi per Juliette se fosse tornata a Boston a vivere con lui, ma non riuscì a mettere insieme una sola ragione a sua difesa. Voleva essere egoista, non rinunciare ai suoi diritti, ma cominciò a mancargli il coraggio, e alla fine si arrese all’ovvia verità. Se avesse strappato Juliette a quel mondo le avrebbe fatto più male che bene.



P. Auster - La musica del caso - Einaudi