La nostra immensa via silenziosa e sommersa non scompare d'incanto
quando usiamo la parola. Parlare è sempre un po' balbettare, ha in sé
qualcosa di repressivo, di formalizzato e contempla sempre,
nascostamente, una frustrazione, in quanto la complessità del silenzio
(nella quale trascorre gran parte della esistenza) non passa attraverso
la lingua parlata. La parola detta a un altro prende come sistema di
riferimento un codice condiviso, che si richiama a una cultura, a
modelli di comportamento da tutti riconosciuti. In quell'ora in cui
parliamo troviamo i punti d'appoggio nello ius,
nella legge degli uomini in comunità, mentre in tutte le altre ore del
giorno (e della notte, visto che sognamo) ci lasciamo anarchicamente
governare dal fas, cioè da leggi metafisiche, antropologiche o religiose.
V. Cerami- Consigli a un giovane scrittore- Einaudi
giovedì 1 marzo 2012
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