mercoledì 31 marzo 2010

Pensarci


L'uomo era stato a sentirla, poi le aveva risposto:"Ci penserò" .
Era disabituato a stare davanti a una donna, gli veniva fastidio al naso per l'odore profumato con cui le donne marcano l'aria. Gli si erano mossi umori nella pancia.

Un uomo che non frequenta donne dimentica che hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere quanto una donna, si distrae, s'interrompe, una donna no. Davanti a lei si trovava incalzato. Se era un guardacaccia se la sbrigava. Ma una donna è quel filo di ragno steso in un passaggio, che si attacca ai panni e si fa portare. Gli aveva messo addosso i suoi pensieri e non se li scrollava. Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e basta, nient'altro da aggiungere. E' un uomo senza. Può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo.

"Ci penserò." Era vero, pensava alla donna, alla sua volontà di cavargli una storia, a lui  che all'osteria stava a sentire quelle degli altri e alla domanda "E tu ?" rispondeva alzando il bicchiere alla salute dei presenti, per inghiottire la risposta. Se insistevano, tirava di tasca la sua armonica a bocca e ci soffiava dentro la musica. Non poteva aggiungere la sua storia alle loro. Di ogni cosa narrata dagli altri, lui aveva fatto peggio. Rischi, disavventure, spietatezze, dai racconti degli altri sapeva di essere il peggiore. Alla donna non poteva rispondere col fiato nell'armonica. Ci pensava.



Erri De Luca-Il peso della farfalla-Feltrinelli

martedì 30 marzo 2010

Un Cantico Dei Cantici

Per tutto il giorno Orah aveva aspettato che tornasse, che stesse con lei, che le parlasse, l'ascoltasse come se ogni sua parola fosse importantissima per lui. Aveva avuto nostalgia delle sue carezze sui capelli e sul collo, delle sue dita morbide, ipnotizzanti. Come quelle di una ragazza, pensò, o di un bimbo appena nato. Tra accessi di febbre e brividi e incubi, nei pochi momenti di lucidità Orah tentava di ricostruire le notte trascorse con Avram e scopriva di aver dimenticato quasi tutto ciò che era successo ma non lui, anche se non lo ricordava proprio bene, non come qualcuno che aveva visto e conosceva veramente, persino il suo volto non si componeva in un ritratto unico ma si alterava e cambiava forma di continuo e talvolta si spezzettava in immagini diverse e ciò che rimaneva, alla fine, era il calore costante che si sprigionava da lui, senza il quale lei aveva freddo, si sentiva gelare, letteralmente.
Era rimasta distesa per ore, addormentata e sveglia, a tratti aveva immaginato la mano di Avram che le accarezzava il viso, ancora e ancora, le sfiorava la nuca. Nessuno l'aveva mai toccata così, e talmente poco l'avevano toccata, e come faceva lui a sapere come fare se non era mai stato con una ragazza? E proprio in quel crescente flusso di dolcezza per Avram, dopo essere rimasta coricata tutto il giorno ad aspettare impaziente che arrivasse per aggrapparsi l'uno all'altro e confidarsi, lui all'improvviso commetteva un errore tanto grossolano, tipico da ragazzo, come fare una pernacchia al cinema durante la scena di un bacio.



David Grossman-A un cerbiatto somiglia il mio amore-Mondadori

lunedì 29 marzo 2010

Passi incerti

"E’ delicata, la felicità. Non sei un funambolo e avanzi a passo a passo, non sai niente dei giorni, cammini sul filo, non vedi lontano. Se guardi in basso hai le vertigini, non guardare. In basso tutti gli uccelli si raggelano e tutti gli uomini si proteggono. Tu cammini in alto, ma è difficile, la felicità. Rischi a ogni passo, avanzi docile. In ogni rischio c’è felicità. Vai verso te stesso e il filo non ha fine."



Philippe Delerm-Il portafortuna della felicità-Frassinelli

venerdì 26 marzo 2010

POIEIN

                                       

                Pietro Paolo Rubens-Carità romana





Cedere il posto agli anziani e agli ammalati.


Viaggiavo in piedi
eppure nessuno
mi offrì il suo posto
anche se ero
di almeno mille anni
più anziana di loro
anche se portavo
i segni visibili di almeno
tre gravi malanni:
orgoglio, solitudine, arte.




Nina Cassian- Dalla rivista : "L'immaginazione", n. 246/2009-Manni Editore-Traduzione di Anita Natascia Bernacchia

giovedì 25 marzo 2010

Per Dio e L'Impero

Anche questo libro è un romanzo sui generis, scritto in modo anomalo per un romanzo,  come si suol dire a spezzoni e spizzichi,  in forma di poesia e da un autore di cui non è dato sapere, anche se si  specifica sulla prima di copertina che si tratta di una storia vera. Il protagonista è un ragazzo italiano con qualche talento in materia artistica e molti sogni riguardo alla "pimp art", che a metà anni novanta va a Londra a cercare fortuna. Il lavoro, che gli permetterà di mantenersi e alimentare il suo sogno di grandezza, sarà quello di "attacchino", nello specifico egli attaccherà adesivi pubblicitari  alle cabine telefoniche londinesi  per pubblicizzare le cosiddette "case valvola" ( col rischio di finire indagato per favoreggiamento della prostituzione ) delle cosiddette "Regine". Il linguaggio è dissacrante e ruvidissimo, la storia molto ironica è interessante perchè squarcia il velo su un mondo frequentatissimo e che muove una enorme  massa di danaro e coinvolge, trasversalmente, una quantità assurda di insospettabili . Il meccanismo è quello di mettere in luce ciò che la finta morale o il credo religioso o il potere o la stessa società civile, preferisce ignorare. Le Regine della storia non sono assolutamente nè derelitte nè schiave di un sistema, al contrario sono esperte di affari, che hanno capito il business e lo gestiscono loro stesse con ottimi profitti. Lo stickyboy italiano diventa loro amico e in qualche modo collaboratore, disegnando per loro accessori moda e oggetti da lavoro. L'amicizia e l'amore che ha per le prostitute fin da piccolo saranno, alla fine, la chiave del successo di Stickyboy. Mai libro fu più attuale.



Stickyboy- Per Dio e l'Impero- Tea

mercoledì 24 marzo 2010

Per chi non tiene a Cuore

E allora si disperò, perché allora l'amava con tutta l'anima, con un misto di sensualità ardente e di tenerezza infantile, avvivate continuamente dal pensiero di quell'abbraccio che l'aveva inebriato, dal ricordo dei loro colloqui familiari, di tante trepidazioni, di tante speranze, di tanti disinganni, che gli parevan la storia di metà della sua vita. E non sognò nemmeno di ribellarsi alla propria passione. No, a prezzo di qualunque tormento, doveva continuare a vederla, a parlarle, a strisciarle intorno come un cane, a mettersele tra i piedi a ogni passo, a sentire il suo profumo di gioventù e la sua voce profonda, a godere almeno della sua pietà, a torturarsi l'immaginazione, il cuore e la carne sotto i suoi occhi. E i tormenti s'inasprirono, ed egli se li cercò. Coll'avvicinarsi dell'estate, ella alleggerì ancora il suo abbigliamento, mettendo le sue forme in una evidenza che lo facea delirare. Egli risalì sul soppalco, a inginocchiarsi tra la polvere e le foglie secche, col viso all'abbaino, e la vista di lei, che dava allora le sue lezioni col busto scoperto, mostrando nude le larghe spalle e le braccia stupende, lo martoriava; e anche quando non la poteva vedere, stava alle volte un'ora a sentire la sua voce, e quei comandi: - Prona, supina, palme in avanti, palme indietro, slancio simultaneo delle braccia - gli risuonavano nell'anima come esclamazioni d'amore.


Edmondo De Amicis-Amore e ginnastica-Rizzoli

martedì 23 marzo 2010

Suggestioni rosa

Una volta, da piccolo, mi sono innamorato di una voce. E' stato tanto tempo fa, quando andavo ancora al collegio per ciechi e tornavo a casa tutti i pomeriggi con il pulmino dell'istituto. L'autista teneva la radio accesa, sempre sintonizzata sullo stesso canale e quell'estate c'era un programma che iniziava sempre con la stessa canzone. Tutti i pomeriggi, io mi preparavo in fretta e mi facevo trovare pronto all'arrivo del pulmino per essere il primo a salire e riuscire a sedermi davanti alla cassa della radio, perchè otto o dieci minuti dopo che eravamo partiti, finiva la pubblicità e iniziava quella canzone. Adesso lo so che si chiamava La vie en rose, ma allora ero piccolo e sapevo soltanto che c'era una canzone bellissima, cantata da una donna bellissima, con una voce bellissima. Era una canzone dolce, piena di erre, ma non verdi, erre morbide, rosa. Non capivo le parole, non capivo il nome di quella donna ma non importava perché per me lei era la donna dalle Erre Rosa ed io ne ero innamorato come può esserlo soltanto un bambino.



Carlo Lucarelli-Almost blue-Einaudi

lunedì 22 marzo 2010

Immagini del potere

È degno di nota il fatto che le due più spiccate immagini di potente presenti nella più antica umanità si distinguono fra loro proprio per il loro opposto atteggiamento verso la metamorfosi.
Ad un polo sta il maestro di metamorfosi, che può assumere a suo piacimento ogni forma: sia essa di animale, di spirito d’animale o di spirito dei morti. (…) Il maestro di metamorfosi acquista effettivo potere quale sciamano. Durante i suoi accessi estatici, egli aduna presso di sé spiriti che sottomette, parla la loro lingua, diviene un loro pari e può comandarli al loro modo. Diviene uccello quando viaggia per i cieli e animale marino quando scende in fondo al mare. Egli può tutto; il parossismo che raggiunge deriva dall’accresciuta e rapida sequenza di metamorfosi che lo scuotono finché non ha scelto fra di esse il suo vero scopo.
Il maestro di metamorfosi è colui che più si trasforma. Lo si confronti ora con l’immagine del re sacrale, il quale, sottoposto a cento limitazioni, deve restare sempre al medesimo posto e dev’essere sempre immutabile, non può venire avvicinato da nessuno e spesso, anzi, non dev’essere visto mai – si vedrà che la sua differenza, ridotta al più semplice denominatore, consiste proprio nell’atteggiamento opposto verso la metamorfosi. Nell’uno, lo sciamano, la metamorfosi giunge al culmine ed è sfruttata fino all’estremo; nell’altro, il re, la metamorfosi è vietata e impedita, e ciò lo irrigidisce completamente. Il re deve restare immutabile a tal punto che non gli è neppure consentito invecchiare. Gli è imposto di essere sempre un uomo della medesima età, nel pieno della maturità, della forza e della salute, e spesso viene ucciso quando si manifestano in lui i primi segni della vecchiaia, i capelli grigi o l’indebolimento della virilità.
La staticità di questo tipo umano, cui è vietata la metamorfosi sebbene da lui procedano senza sosta ordini che mutano gli altri, è penetrata nell’essenza del potere; da essa è caratterizzata in modo decisivo l’immagine moderna del potere. Colui che non si trasforma è collocato a una determinata altezza, in un determinato posto, ben circoscritto e immutabile. Egli non deve scendere dalla sua altezza, non deve venir incontro a nessuno: “non si compromette mai”, pur potendo elevare altri, conferendo loro questa o quella dignità. Egli può trasformare gli altri, elevandoli o abbassandoli; deve fare agli altri ciò che a lui stesso è precluso. Egli, colui che non si trasforma, trasforma gli altri a suo arbitrio. 



Elias Canetti-Massa e potere-Adelphi

venerdì 19 marzo 2010

POIEIN




Gustav Klimt-La vergine 




Reinventare




La vita solo è possibile
reinventata.
Va il sole per le pianure
e passeggia la mano dorata
nelle acque, nelle foglie…
Ah! tutto bollicine
che vengono da profonde piscine
di illusionismo… – niente più.
Ma la vita, la vita, la vita,
la vita solo è possibile
reinventata.
Viene la luna, viene, toglie
le catene dalle mie braccia.
Mi lancio in spazi
pieni della tua Figura.
Tutta menzogna! Menzogna
della luna, nella notte buia.
Non ti trovo, non ti raggiungo…
Sola – nel tempo equilibrata,
mi libero dell’oscillare
che al di là del tempo mi porta.
Sola – nelle tenebre,
rimango: ricevuta e data.
Perché la vita, la vita,
la vita solo è possibile
reinventata.





Cecilia Meireles



giovedì 18 marzo 2010

La Cosa Nuova

A Brooklyn nella seconda metà degli anni sessanta una cronista musicale, hippy e bianca (alla quale hanno ammazzato il compagno musicista, di colore), scomparsa poi nel nulla, lascia alla sua redazione una enorme quantità di nastri audio, frutto del suo lavoro per il Brooklynite (lei lavorava sempre così, col registratore acceso). Quel registratore finirà per ricostruire, inconsapevolmente, non solo parte della vita della cronista scompara ma anche e soprattutto, ciò che accadeva intorno a lei e più in generale negli Stati Uniti. Il clima è rovente, ci sono in quegli anni contrapposizioni anche sanguinose tra il Black Power ( da posizioni moderate alla M. L. King passando per quelle di Malcom X,  fino alle più estreme dei seguaci delle Pantere Nere ) e l' estabilishment, identificato di volta in volta col Ku Klux Klan, col Cointrerpro, con l' FBI, col NYPD o addirittura con un improbabile tale "Figlio di Witheman". Insomma questo  clima di rancori e sospetti, di grande confusione e caos porterà alla morte violenta di diversi musicisti ( e di persone che, semplicemente, si muovevano nell'ambiente ) della cosiddetta "New Thing", del free jazz ispirato da musicisti del calibro di Shepp e di Coltrane, che fà da colonna sonora a tutta la vicenda. Dopo tanta violenza, sospetti , sangue versato dalle opposte fazioni in un circolo vizioso, inarrestabile, sembra si arrivi ad una sola conclusione e cioè che la giustizia, auspicata da tutti, non và perseguita ma anticipata.
Molto bella la scrittura, direi cinematografica, documentatissima eppure di facile fruibilità la ricostruzione delle lotte dei negri, poi neri, poi diventati finalmente afroamericani, interessantissimo l'excursus nel mondo del jazz. Davvero un bel romanzo.



Wu Ming 1- New Thing- Einaudi

mercoledì 17 marzo 2010

Intralci

Compariva allo spuntare della domenica, come un principe di fiaba, su un cavallo con staffe d'argento e gualdrappe di velluto, e lasciava il villaggio dopo la messa. Era tale il potere della sua presenza, che dalla prima volta che lo si vide nella chiesa tutti diedero per scontato che tra lui e Remedios la bella si fosse stabilito un duello tacito e stretto, un patto segreto, una sfida irrevocabile il cui apogeo non poteva essere soltanto l'amore ma anche la morte. La sesta domenica, il cavaliere apparve con una rosa in mano. Ascoltò la messa in piedi, come faceva sempre, e alla fine intralciò il passo a Remedios la bella e le offrì la rosa solitaria. Lei la ricevette con un gesto naturale, come se fosse stata preparata a ricevere quell'omaggio, e allora scoprì il volto per un istante e lo ringraziò con un sorriso. Non fece altro.



Gabriel Garcìa Màrquez-Cent'anni di solitudine-Mondadori

martedì 16 marzo 2010

Ragazzi in giro

Le voleva bene, a lei, il vecchio Alex, e voleva bene anche alle sue guance, alle sue dita e al modo che aveva di abbracciarlo. Alla fine di tutti i loro saluti tardoadolescenziali, lei aveva proposto di fare un giro sui colli e il solito roccioso aveva accettato subito, tutto proiettato d'entusiasmo e pronto a volare sulle ali della sua fantasia. In vespa, quel matto stava seduto dietro, a meno d'un centimetro dal maglione verde di lei: se l'era messo per farlo contento - Alex lo sapeva bene - perché quel maglione portentoso parlava di Irlanda, di Porgues e di felicità. Ecco, aveva pensato a un certo punto, mentre la vespa guadagnava via la strada, tutto questo il vecchio Martino non potrà più provarlo. Mai più avere il cuore in gola perchè domani pomeriggio si parte e per due settimane non si vedrà una ragazza speciale; mai più accorgersi che una persona è veramente diversa dalle altre; mai più essere un po' emozionato perchè si deve fare una certa telefonata per la prima volta; e non essere mai più contento di sentire il motore di una certa vespa e credere di riconoscerlo anche se si sta solo sognando nel proprio letto una mattina di primavera; e non avere più un cavolo di niente, nè ragazze con cui sperare di fare l'amore, nè dischi da comprare, nè giri di Fender Jaguar da suonare... Martino non sarebbe mai più andato sui colli con una ragazza, in due sulla stessa vespa: stava solo cercando di convivere con questo sentimento, il vecchio Alex, e poi all'altezza del capolinea del 16 cominciava la salita e Aidi era impegnata a guidare, e lui sentiva che erano veramente una cosa sola, il petto contro la sua schiena e le mani sui suoi fianchi.



Enrico Brizzi-Jack Frusciante è uscito dal gruppo-Baldini&Castoldi

lunedì 15 marzo 2010

Non è vero ma ci credo.

Oistros, il tafano che tormenta i bovini, è la più elusiva eppure onnipresente fra le potenze che ressero i Greci. Ate, l'infatuazione che racchiude in sé il castigo, traspone quell'animale fra le donne del destino. Ma Oistros è un ragazzo, e raramente si mostra. Nella calura mitologica, dove abitano i loro corpi seminudi, dèi, eroi, figli e figlie di dèi si muovevano con occhi umidi e luminosi, finchè un ronzio si avvicinava loro dall'invisibile. Un pungiglione li feriva nell'anima, e allora si scatenavano gli eventi. La furia erotica e quella assassina non si distinguono bene, all'origine. Entrambe sorgono da quel ronzio intermittente, dalle incursioni di un piccolo animale maligno. Soltanto una volta, sul mirabile cratere di Canosa ora a Monaco, Oistros ci appare in figura nella sua piena maestà.



Roberto Calasso-Le nozze di Cadmo e Armonia-Adelphi

venerdì 12 marzo 2010

POIEIN

 
                    Fernando Botero-Gli amanti





IL giorno ad urlapicchio


Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,

ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;

è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m'hai detto "t'amo per davvero".




Fosco Maraini-Gnosi delle fanfole-Baldini Castoldi Dalai

giovedì 11 marzo 2010

Invisibile

Quello che non si vede orienta le nostre vite in maniera irreversibile. Soprattutto il dolore. Questo ci racconta Auster in Invisibile. Ci porta fino alla duecentottantottesima pagina del romanzo, a un ritmo sostenuto, a tratti lasciandoci senza fiato, per dirci che tutti i personaggi descritti fin lì non sono quello che sembrano, che tutti i fatti raccontati, dettagliatamente, sono "smontabili" con un semplice cambio di prospettiva, un nuovo punto di vista. Poi, ancora una volta, alla fine del romanzo si ribalterà tutta la vicenda, daccapo. Il filo rosso che lega tutto sembra essere l'esigenza di fissare per iscritto l'evento che ciascuno dei personaggi, di volta in volta, non capisce della propria vita ma sa che sarà determinante nel cambiargliela, nel bene o nel male. L'autore sembra dirci che il romanzo che pretendiamo di fare delle nostre vite è in realtà solo una delle possibili o meglio delle più accettabili, per noi, versioni di esse. Mai coinciderà con quella degli altri, neppure di quelli che ci avranno amato alla follia, a maggior ragione neppure di quelli. La scrittura è bellissima e densa, la parte sull'annegamento e quello che ciò comporterà del settenne Andy è addirittura straziante, le descrizioni, poi, dei cieli parigini valgono da sole già tutto il romanzo. Lo consiglio.



Paul Auster- Invisibile- Einaudi

mercoledì 10 marzo 2010

Quel che resta...

Vorrei che tu venissi da me in una sera d'inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi geni ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.

Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l'un l'altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.

Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d'Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d'inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.

Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell'anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.

Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.

Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l'anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all'ora giusta l'incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient'altro.

Vorrei anche andare con te d'estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l'acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull'erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.

Tu diresti "Che bello!". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un'altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.

E non diresti "Che bello! ", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.

Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell'uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall'estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.

Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d'oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d'estate o d'autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.

Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all'amore. Ma io ti avrò vicina.

E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati... Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.



Inviti Superstiti

Dino Buzzati-La boutique del mistero-Mondadori

martedì 9 marzo 2010

Isolitudine

Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete. Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver frebbe di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso; e uscire a vedere gli amici, gli altri, o restare in casa era per me lo stesso. Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffé, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un’infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l’acqua mi entrava nelle scarpe.




Elio Vittorini-Conversazione in Sicilia-Feltrinelli

lunedì 8 marzo 2010

Bisogni...


Vasilij Kandinski-Improvizacija




Io non ho bisogno di denaro


Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti,
di parole, di parole scelte sapientemente,
di fiori detti pensieri,
di rose dette presenze,
di sogni che abitino gli alberi,
di canzoni che facciano danzare le statue,
di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti...
ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.



Alda Merini-Terra d'amore

venerdì 5 marzo 2010

POIEIN



Henri de Tolouse-Lautrec-La giovane donna dai capelli rossi




E' finita l'estate


E' fuggita l'estate,
più nulla rimane.
Si sta bene al sole.
Eppure questo non basta.

Quel che poteva essere
una foglia dalle cinque punte
mi si è posata sulla mano.
Eppure questo non basta.

Nè il bene nè il male
sono passati invano,
tutto era chiaro e luminoso.
Eppure questo non basta.

La vita mi prendeva
sotto l'ala, mi proteggeva,
mi salvava, ero davvero fortunato.
Eppure questo non basta.



Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij-Poesie scelte-Scheiweller

giovedì 4 marzo 2010

Si gioca al mondo!

Circa centocinquanta sono i capitoli di questo non libro, si può leggerlo in due distinte maniere, una, in particolare, è consigliata dall'autore, seguendo cioè un certo ordine dei capitoli piuttosto che quello in cui sono naturalmente collocati, l'altro modo, invece, prevede di arrivare fino al cinquantaseiesimo e di tralasciare completamente tutti gli altri; se si è più temerari poi si può scegliere una terza via, più personale, ignorando del tutto le indicazioni suddette e a proprio rischio e pericolo. La storia è quella di Horacio Oliveira, eterno studente ("borghese, portegno e collegio nazionale, che a furia di soppesare tutto si teneva ormai sull'ago della bilancia, avendo rinunciato completamente ai piatti") e narra ora "dall'altra parte" e cioè della vita parigina del protagonista, tra il Club, come lo chiama lui, ovvero un gruppo di amici intellettuali e bohémienne e la Maga ( "questa concrezione di nebulosa con inconsapevole diritto di cittadinanza in tutto ciò che tocca" ) capacissima di ritrovarsi, proprio come Horacio, in "caselle che non erano di tutti" nell'attraversare la vita; infatti, partendo da punti diametralmente opposti, da condizioni economiche, da background sociale e culturale, da vite diversissime Horacio e Lucia (la Maga appunto) finiscono per ritrovarsi irrimediabilmente come "muro e pelota". Il libro poi prosegue raccontando la storia "da questa parte", cioè di Horacio tornato in Argentina dopo l'abbandono della Maga, con la sua fidanzata Gekrepten, con Traveler, l'amico di sempre e sua moglie Talita, nella quale Horacio cercherà disperatamente la Maga tra storie oniriche e metafisiche di vendite di cachemire, lavori al circo o in pseudo cliniche, secondo la più grande tradizione letteraria latino-americana ( la figura del piccolo Rocamadour altro non è che un omaggio a Màrquez ). Infine c'è il racconto "dalle altre parti" nei "capitoli di cui si può anche fare a meno", affidato ad un certo Morelli e ai suoi scritti, cioè appunti, tentativi di riflessione, che fanno da griglia e presupposto allo svolgersi degli avvenimenti, da una specie di camera di regia nascosta. Non si vince nè si perde al gioco del mondo, già è tanto che si pareggi come nella vita; il punto sta tutto nell'avere il coraggio/umiltà di riprovarci ogni volta, ricordandosi, anche se si è usciti dall'infanzia, che per arrivare al Cielo ( avendo avuto la cura di tracciare le caselle della Rayuela, preferibilmente, con gessetti colorati ) occorrono solamente una pietruzza e la punta di una scarpa, cosa che la Maga ha sempre saputo.




Julio Cortàzar- Il gioco del mondo(Rayuela)- Einaudi

mercoledì 3 marzo 2010

Impietosi specchi

Orrore nel Nordest. Non erano stati gli slavi a uccidere la mamma e il figlioletto, ma l'altra figlioletta insieme al fidanzatino. Annullata in tutta fretta la marcia antimmigrazione, il sindaco invoca per i due giovani assassini la pena di morte. Secondo i giudici dei minori: rischiano il perdono. A Porta a porta si discute della crisi della famiglia. Severo monito del Papa: genitori, rispettate i vostri figli; figli, rispettate i vostri genitori. Un magistrato di Asunciòn denuncia un traffico di organi di bambini tra il Paraguay e gli Stati Uniti. Ma l'Unesco: si tratta solo di una leggenda metropolitana. Ammessi al lavoro esterno fuori dal carcere, i terroristi neri Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che da sempre si proclamano innocenti, stanno preparando un libro di memorie. Statistiche: il novantotto per cento delle donne si masturba. Solo il venticinque per cento lo fa all'interno delle pareti domestiche. Il restante settantacinque per cento preferisce bar, cinema e luoghi di lavoro. Procedono le trattative tra la Rai e Pietro Taricone: quasi certamente la star del Grande fratello condurrà un talk show in prima serata. Sulla foto sorridente dell'orgoglioso archetipo del Giovane Italiano postduemila, ripiegai il giornale con un moto di stizza. Erano le nove passate, una morsa d'inquietudine mi attanagliava il plesso solare, giacca e camicia formavano un unico blocco di sudore con la schiena, comitive di ragazzi frenetici e quarantenni in tiro si spostavano da un locale all'altro, politici in doppiopetto e attori di belle speranze si organizzavano la seratina al cellulare, turbe di single sciamavano verso i notturni progessivi slittamenti del piacere. Giovanna non si vedeva.
Ripassai per l'ennesima volta davanti alle compagnie scanzonate che s'aprivano a fatica un varco nella fitta coltre di scirocco e benzene. Ragazze flessuose come modelle che elargivano generose prospettive ombelicali. I loro biondissimi partner che si tuffavano in variopinti cocktail fruttati. Una sinfonia di bellezza persino eccessiva. Aggirai il chiostro di S. Maria della Pace disposto a perdermi nelle viuzze del centro. Giovanna la madonna pazza, la ricca delirante, Giovanna che mi prendeva in giro, Giovanna che giocava crudelmente con i miei sentimenti. Accesi un sigaro contro un lampione accerchiato di scooter. C'era una fontanella. Qualcuno ci aveva scritto sopra, con il pennarello nero: SI BRUCIANO ZINGARI, SI SCUOIANO NEGRI. RIVOLGERSI a NAZI-SPA-GROUP. SI GASANO EBREI (SOLO A PAGAMENTO). La new economy pensai: il mercato che va incontro ai bisogni profondi della gente.




Giancarlo De Cataldo-Nero come il cuore-Einaudi

martedì 2 marzo 2010

Sentore di primavera

E' una bella giornata di marzo ed è un piacere starsene seduti fuori sul ponte a guardare i turisti con le loro macchinette fotografiche tutti entusiasti della Statua della Libertà, del lungo tratto del fiume Hudson che ci si para davanti e del panorama di Manhattan che avanza adagio verso di noi. L'acqua è tutta increspata di bianco e nella brezza che tira dai Narrows c'è un sentore tiepido di primavera. Ah, che bello, e quanto mi piacerebbe stare lassù sul ponte a guidare questo vecchio traghetto avanti e indietro, avanti e indietro fra i rimorchiatori, le chiatte, i piroscafi da carico e le navi di linea che gonfiano il porto di onde lunghe sciabordanti contro il ponte fitto di automobili.
Quella sì che sarebbe una bella vita, molto più comoda che non trovarsi di fronte ogni giorno decine di adolescenti con le loro gomitatine, le loro risatine e le loro strizzatine d'occhio segrete, le loro proteste e obiezioni, e quel modo che hanno di ignorarmi come se facessi parte della tappezzeria. Mi passa davanti agli occhi il ricordo di una mattina alla New York University e una faccia che mi dice: Non è che sei un pò paranoico?
Paranoico. All' epoca la parola me la sono andata a cercare sul vocabolario. Se un giorno in aula un ragazzo dirà qualcosa sottovoce a un altro e tutti e due si metteranno a ridere penserò che stiano ridendo di me? Le mie classi si metteranno in mensa a rifarmi il verso e a prendermi in giro per gli occhi rossi? So che la risposta è sì perché anche noialtri alla Leamy facevamo così ma se continuo a preoccuparmi di queste cose tanto vale mi rinchiuda per sempre nella sezione prestiti della Manufacturer's Trust Company.
E' questo che mi aspetta d'ora in poi per tutta la vita?




Frank McCourt-Che paese, l'America-Adelphy

lunedì 1 marzo 2010

Nella stagione del silenzio

Ora, dopo il traffico estivo di turisti e quello autunnale dei cercatori di funghi, per la strada della Val d' Assa non passa quasi nessuno: qualche rara automobile scassata con i cacciatori e i curiosi segugi, qualche trattore che va a caricare la legna residua dei lotti di legname, la guardia forestale, il guardacaccia; o chi vuole conoscere l' Altipiano nella stagione del silenzio.
Solamente l' Osteria del Ghertele, dopo dodici chilometri dall' ultimo centro abitato, ha il camino che fuma; fu lì che molti anni fa mio nonno mi fece bere il primo caffè. Era una mattina come questa, molto fredda, e con la brina che ogni giorno ingrossa i rami dei larici e degli abeti così da farli apparire come degli alberi di Natale. Ma allora a restare seduti sul calesse tirato dalla cavalla baia, anche se si era ben coperti di lana casalinga, si sentiva il freddo entrare dalle gambe e dalle braccia. In quel mio primo caffè, fatto nella cuccuma di rame dal vecchio oste Nicola, il nonno fece aggiungere tre gocce di grappa, e fu come una sorsata di calore benefico; tanto che più volte mi venne da ricordarlo in certi momenti della guerra.

I pascoli delle malghe sono deserti e ghiacciati, solo sui luoghi della mungitura l' erba è un poco più verde per l' urea e la grassa lasciata sul terreno dalle vacche; è lì che nelle ore crepuscolari le lepri ormai tutte bianche escono dal pascolo.




Mario Rigoni Stern-Amore di confine-Einaudi