martedì 30 marzo 2010

Un Cantico Dei Cantici

Per tutto il giorno Orah aveva aspettato che tornasse, che stesse con lei, che le parlasse, l'ascoltasse come se ogni sua parola fosse importantissima per lui. Aveva avuto nostalgia delle sue carezze sui capelli e sul collo, delle sue dita morbide, ipnotizzanti. Come quelle di una ragazza, pensò, o di un bimbo appena nato. Tra accessi di febbre e brividi e incubi, nei pochi momenti di lucidità Orah tentava di ricostruire le notte trascorse con Avram e scopriva di aver dimenticato quasi tutto ciò che era successo ma non lui, anche se non lo ricordava proprio bene, non come qualcuno che aveva visto e conosceva veramente, persino il suo volto non si componeva in un ritratto unico ma si alterava e cambiava forma di continuo e talvolta si spezzettava in immagini diverse e ciò che rimaneva, alla fine, era il calore costante che si sprigionava da lui, senza il quale lei aveva freddo, si sentiva gelare, letteralmente.
Era rimasta distesa per ore, addormentata e sveglia, a tratti aveva immaginato la mano di Avram che le accarezzava il viso, ancora e ancora, le sfiorava la nuca. Nessuno l'aveva mai toccata così, e talmente poco l'avevano toccata, e come faceva lui a sapere come fare se non era mai stato con una ragazza? E proprio in quel crescente flusso di dolcezza per Avram, dopo essere rimasta coricata tutto il giorno ad aspettare impaziente che arrivasse per aggrapparsi l'uno all'altro e confidarsi, lui all'improvviso commetteva un errore tanto grossolano, tipico da ragazzo, come fare una pernacchia al cinema durante la scena di un bacio.



David Grossman-A un cerbiatto somiglia il mio amore-Mondadori

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