"Interrogare l’abituale. Ma per  l’appunto ci siamo abituati. Non lo interroghiamo, non ci interroga, non  ci sembra costituire un problema, lo viviamo senza pensarci, come se  non contenesse né domande né risposte, come se non trasportasse nessuna  informazione. Non è neanche più un condizionamento, è l’anestesia.  Dormiamo la nostra vita di un sonno senza sogni. Ma dov’è la nostra  vita? Dov’è il nostro corpo? Dov’è il nostro spazio?
Come parlare di queste “cose  comuni”, o meglio, come braccarle, come stanarle, come liberarle dalle  scorie nelle quali restano invischiate; come dar loro un senso, una  lingua: che possano finalmente parlare di quello che è, di quel che  siamo. 
Forse si tratta di fondare  finalmente la nostra propria antropologia: quella che parlerà di noi,  che andrà a cercare dentro di noi quello che abbiamo rubato così a lungo  agli altri. Non più l’esotico, ma l’endotico.
Interrogare quello che ci sembra talmente evidente da averne dimenticata l’origine. Ritrovare qualcosa dello stupore che potevano provare Jules Verne o i suoi lettori di fronte a un apparecchio capace di riprodurre e trasportare i suoni. Perché è esistito, questo stupore, e con esso, migliaia di altri, che ci hanno plasmato.
Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. Come? Dove? Quando? Perché?
Descrivete la vostra strada. Descrivetene un’altra. Fate il confronto.
Interrogare quello che ci sembra talmente evidente da averne dimenticata l’origine. Ritrovare qualcosa dello stupore che potevano provare Jules Verne o i suoi lettori di fronte a un apparecchio capace di riprodurre e trasportare i suoni. Perché è esistito, questo stupore, e con esso, migliaia di altri, che ci hanno plasmato.
Ciò che dobbiamo interrogare, sono i mattoni, il cemento, il vetro, le nostre maniere a tavola, i nostri utensili, i nostri strumenti, i nostri orari, i nostri ritmi. Interrogare ciò che sembra aver smesso per sempre di stupirci. Viviamo, certo, respiriamo, certo; camminiamo, apriamo porte, scendiamo scale, ci sediamo intorno a un tavolo per mangiare, ci corichiamo in un letto per dormire. Come? Dove? Quando? Perché?
Descrivete la vostra strada. Descrivetene un’altra. Fate il confronto.
George Perec-L''infra-ordinario-Bollati Borighieri-traduzione di Roberta Del Bono





Un caro saluto, venire a trovarti è sempre piacevole...
RispondiEliminaSandra
Le tue visite sono boccate d'aria fresca, passa quando vuoi. ;-)
RispondiEliminaUn bacio.
Rosanna