mercoledì 10 aprile 2013

Era un piacere umano...


Dopo il pranzo Roma soccombeva al sopore di agosto. Il sole di mezzogiorno rimaneva immobile al centro del cielo, e nel silenzio delle due del pomeriggio si udiva solo il rumore dell’acqua, che è la voce naturale di Roma. Ma verso le sette di sera le finestre si aprivano d’improvviso per attrarre l’aria fresca che cominciava a muoversi, e una folla giubilante usciva in strada senza altro proposito che quello di vivere, in mezzo agli scoppi delle motociclette, alle grida dei venditori di anguria e alle canzoni d’amore tra i fiori delle terrazze.
Il tenore e io non facevamo la siesta. Andavamo con la sua vespa, lui che guidava e io dietro, e portavamo gelati e cioccolatini alle puttanelle estive che sfarfalleggiavano sotto gli allori centenari di Villa Borghese, in cerca di turisti desti in pieno sole. Erano belle, povere e affettuose, come la maggioranza delle italiane di quei tempi, vestite di organza azzurra, di popeline rosa, di lino verde, e si proteggevano dal sole con gli ombrellini tarmati dalle piogge della guerra recente. Era un piacere umano stare con loro, perché infrangevano le leggi del mestiere, e si concedevano il lusso di perdere un buon cliente per venire con noi a prendere un caffè e a far due chiacchiere al bar dell’angolo, o a passeggiare sulle carrozzelle a nolo lungo i sentieri del parco, o a rattristarci con i re detronizzati e le loro amanti tragiche che all’imbrunire cavalcavano nel galoppatoio. Più di una volta facevamo da interpreti con qualche americano smarrito.


G. G. Màrquez - Dodici racconti raminghi - traduzione di A. Morino - Mondadori

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