mercoledì 18 luglio 2012

Per dire la verità...

«Quand'ero sull'isola, anelavo solo a essere altrove o, per usare le mie parole di allora, a essere "tratta in salvo". Ma ora sento dentro di me un desiderio ardente che mai avrei pensato di provare. Chiudo gli occhi e la mia anima prende congedo da me, vola sopra le case e le strade, i boschi e i pascoli, per fare ritorno alla nostra casa di un tempo, mia e di Cruso. Voi non potete capire questo mio desiderio, dopo tutto ciò che ho detto sul tedio della nostra vita laggiú. Forse avrei dovuto dire di piú sul piacere di camminare scalza nella sabbia fresca del recinto, di piú sugli uccelli, i piccoli uccelli di molte specie di cui mai ho saputo il nome e che chiamavo "passeri" in mancanza di un nome migliore. Chi, se non Cruso, che non c'è piú, potrebbe narrarvi accuratamente la storia di Cruso? Avrei dovuto raccontare meno di lui e piú di me stessa. Come è accaduto, tanto per cominciare, che mia figlia si è perduta, e come, seguendola, sono giunta a Bahia? Come sono sopravvissuta tra stranieri in quei due lunghi anni? Ho vissuto soltanto in una camera ammobiliata, come ho detto? Bahia era un'isola nell'oceano della foresta brasiliana, e la mia camera un'isola desolata di Bahia? Chi era il capitano il cui destino ha voluto che andasse per sempre alla deriva nei mari estremi del Sud, in una veste di ghiaccio? Dall'isola di Cruso non ho riportato una penna, non un ditale di sabbia. Non ho altro che i sandali. Quando rifletto sulla mia storia, mi pare di esistere solo come colei che è giunta, colei che è stata testimone, colei che anelava ad andarsene: un essere senza consistenza, un fantasma accanto al corpo vero di Cruso. È dunque questo il destino di chi narra storie? Eppure sono stata un corpo quanto lo è stato Cruso. Mangiavo e bevevo, mi svegliavo e dormivo, mi struggevo. L'isola era di Cruso (ma in virtú di quale diritto? in virtú della legge dell'isola? esiste una legge simile?), ma ci ho vissuto anch'io, non ero un uccello di passaggio, non una sula o un albatro che, dopo aver compiuto un giro intorno all'isola e immerso un'ala, proseguono il loro volo sull'oceano sconfinato. Rendetemi la consistenza che ho perduto, signor Foe: è questa la mia supplica. Giacché, sebbene la mia storia dica il vero, essa non ha la consistenza del vero (me ne rendo conto, non c'è bisogno di fingere che sia altrimenti). Per dire la verità in tutta la sua consistenza è necessaria la quiete, una sedia comoda lontana da ogni distrazione e una finestra cui indugiare a guardare; e poi il talento di vedere onde quando si hanno davanti agli occhi campi, di sentire il sole dei tropici quando fa freddo; e di avere sulla punta delle dita le parole con cui catturare la visione prima che dilegui. Io non ho niente di tutto ciò, voi invece tutto».


J.M. Coetzee- Foe- Einaudi









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