domenica 30 giugno 2013
sabato 29 giugno 2013
venerdì 28 giugno 2013
giovedì 27 giugno 2013
L'attesa dell'inatteso.
La cosa grave nell’avvicinarsi alla morte non è la morte in sé… ma il fatto che non si potrà più fantasticare su quello che dovrà succedere… Ciò che mi fa alzare al mattino continua a essere l’attesa di quello che sta per arrivare e non si annuncia. È l’attesa dell’inatteso.
J. Mariàs - Tutte le anime- Einaudi
J. Mariàs - Tutte le anime- Einaudi
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mercoledì 26 giugno 2013
...quasi un papavero.
Pensai: “E se la baciassi?”.
Di nuovo mi assalì il caldo del ricordo di quando rotolavo sui mucchi di fieno in un tempo felice con una ciurma di bimbi, e pensai “baciarla” come se fosse significato portarla su uno di quei mucchi, rotolare fino al tramonto di quel pomeriggio con lei che mi aveva mandato un garofano rosso, quasi un papavero. Ma fu un minuto solo, durante il quale mi tremarono le mani. E subito cominciò un terrore di farle male, di distruggere il bene, di perdere per sempre la felicità di avere il garofano rosso donato da lei.
E. Vittorini - Il garofano rosso - Einaudi
Di nuovo mi assalì il caldo del ricordo di quando rotolavo sui mucchi di fieno in un tempo felice con una ciurma di bimbi, e pensai “baciarla” come se fosse significato portarla su uno di quei mucchi, rotolare fino al tramonto di quel pomeriggio con lei che mi aveva mandato un garofano rosso, quasi un papavero. Ma fu un minuto solo, durante il quale mi tremarono le mani. E subito cominciò un terrore di farle male, di distruggere il bene, di perdere per sempre la felicità di avere il garofano rosso donato da lei.
E. Vittorini - Il garofano rosso - Einaudi
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martedì 25 giugno 2013
Ce l'hai fatta.
E così sono salito di sopra. Mi pareva di non avere più un briciolo di forza nelle gambe. Me le sentivo come dopo aver fatto una corsa.
Ho rovistato un po’ nello studio di mia moglie. Ho trovato delle penne a sfera in un cestino sulla scrivania. E poi mi sono sforzato di pensare a dove potevo trovare il tipo di carta che mi aveva chiesto.
Sono sceso in cucina e ho trovato una busta di carta del supermercato che aveva ancora delle bucce di cipolla in fondo. L’ho svuotata scuotendola per bene. L’ho portata di là in soggiorno e mi sono seduto per terra vicino alle gambe del cieco. Ho spostato un po’ di roba, ho allisciato la busta e l’ho stesa sul tavolino.
Il cieco si è tirato giù dal divano e si è seduto accanto a me sul tappeto.
Ha passato le dita sulla busta. Ne ha sfiorato su e giù i margini.
I bordi, perfino i bordi. Ne ha tastato per bene gli angoli.
“Perfetto”, ha detto. “Perfetto, facciamola”.
Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto. “Disegna.
Vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene. Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco.
E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo. Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie. Roba da matti.
“Benone”, ha detto lui. “Magnifico. Vai benissimo”, ha detto.
“Non avevi mai pensato che una cosa del genere ti potesse succedere, eh, fratello? Be’, la vita è strana, sai. Lo sappiamo tutti. Continua pure. Non smettere”.
Ci ho messo dentro finestre con gli archi. Ho disegnato archi rampanti. Grandi portali. Non riuscivo a smettere. I programmi della televisione erano finiti. Ho posato la penna e ho aperto e chiuso le dita. Il cieco continuava a tastare la carta. La sfiorava con la punta delle dita, passando sopra a tutto quello che avevo disegnato, e annuiva.
“Vai forte”, ha detto infine.
Ho ripreso la penna e lui ha ritrovato la mia mano. Ho continuato ad aggiungere particolari. Non sono certo un artista. Ma ho continuato a disegnare lo stesso.
Mia moglie ha aperto gli occhi e ci ha fissato. Si è tirata a sedere sul divano, con la vestaglia tutta aperta. Ha detto: “Che cosa state facendo? Ditemelo, voglio sapere”.
Non le ho risposto.
Il cieco ha detto: “Stiamo disegnando una cattedrale. Ci stiamo lavorando insieme, io e lui. Premi più forte”, ha detto, rivolto a me.
“Sì, così. Così va bene”, ha aggiunto. “Certo. Ce l’hai fatta, fratello.
Si capisce bene, adesso. Non credevi di farcela, eh? Ma ce l’hai fatta, ti rendi conto? Adesso sì che vai forte. Capisci cosa voglio dire? Tra un attimo qui avremo un vero capolavoro. Come va il braccio?”, ha chiesto. “Ora mettici un po’ di gente. Che cattedrale è senza la gente?” Mia moglie ha chiesto: “Ma che succede? Robert, che cosa stai facendo? Si può sapere che succede?” “Tutto a posto”, le ha detto lui. “E adesso chiudi gli occhi”, ha aggiunto, rivolto a me.
L’ho fatto. Li ho chiusi proprio come m’ha detto lui.
“Li hai chiusi?”, ha chiesto. “Non imbrogliare”.
“Li ho chiusi”, ho risposto io.
“Tienili così”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Adesso non fermarti.
Ho rovistato un po’ nello studio di mia moglie. Ho trovato delle penne a sfera in un cestino sulla scrivania. E poi mi sono sforzato di pensare a dove potevo trovare il tipo di carta che mi aveva chiesto.
Sono sceso in cucina e ho trovato una busta di carta del supermercato che aveva ancora delle bucce di cipolla in fondo. L’ho svuotata scuotendola per bene. L’ho portata di là in soggiorno e mi sono seduto per terra vicino alle gambe del cieco. Ho spostato un po’ di roba, ho allisciato la busta e l’ho stesa sul tavolino.
Il cieco si è tirato giù dal divano e si è seduto accanto a me sul tappeto.
Ha passato le dita sulla busta. Ne ha sfiorato su e giù i margini.
I bordi, perfino i bordi. Ne ha tastato per bene gli angoli.
“Perfetto”, ha detto. “Perfetto, facciamola”.
Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto. “Disegna.
Vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene. Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco.
E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo. Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie. Roba da matti.
“Benone”, ha detto lui. “Magnifico. Vai benissimo”, ha detto.
“Non avevi mai pensato che una cosa del genere ti potesse succedere, eh, fratello? Be’, la vita è strana, sai. Lo sappiamo tutti. Continua pure. Non smettere”.
Ci ho messo dentro finestre con gli archi. Ho disegnato archi rampanti. Grandi portali. Non riuscivo a smettere. I programmi della televisione erano finiti. Ho posato la penna e ho aperto e chiuso le dita. Il cieco continuava a tastare la carta. La sfiorava con la punta delle dita, passando sopra a tutto quello che avevo disegnato, e annuiva.
“Vai forte”, ha detto infine.
Ho ripreso la penna e lui ha ritrovato la mia mano. Ho continuato ad aggiungere particolari. Non sono certo un artista. Ma ho continuato a disegnare lo stesso.
Mia moglie ha aperto gli occhi e ci ha fissato. Si è tirata a sedere sul divano, con la vestaglia tutta aperta. Ha detto: “Che cosa state facendo? Ditemelo, voglio sapere”.
Non le ho risposto.
Il cieco ha detto: “Stiamo disegnando una cattedrale. Ci stiamo lavorando insieme, io e lui. Premi più forte”, ha detto, rivolto a me.
“Sì, così. Così va bene”, ha aggiunto. “Certo. Ce l’hai fatta, fratello.
Si capisce bene, adesso. Non credevi di farcela, eh? Ma ce l’hai fatta, ti rendi conto? Adesso sì che vai forte. Capisci cosa voglio dire? Tra un attimo qui avremo un vero capolavoro. Come va il braccio?”, ha chiesto. “Ora mettici un po’ di gente. Che cattedrale è senza la gente?” Mia moglie ha chiesto: “Ma che succede? Robert, che cosa stai facendo? Si può sapere che succede?” “Tutto a posto”, le ha detto lui. “E adesso chiudi gli occhi”, ha aggiunto, rivolto a me.
L’ho fatto. Li ho chiusi proprio come m’ha detto lui.
“Li hai chiusi?”, ha chiesto. “Non imbrogliare”.
“Li ho chiusi”, ho risposto io.
“Tienili così”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Adesso non fermarti.
R. Carver - Cattedrale - Einaudi
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lunedì 24 giugno 2013
Sulle mani...
«ma Oliveira era sempre fermo sulle mani, come sempre lo attraevano le mani delle
donne, sentiva la necessità di toccarle, di passare le dita su ciascuna falange, esplorare con movimenti di cinesiologo giapponese la via impercettibile delle vene, rendersi conto delle condizioni delle unghie, indovinare chiromanticamente linee nefaste e monti propizi, udire il fragore della luna appoggiando contro l’orecchio la palma di una piccola mano un po’ umida a causa dell’amore o di una tazza di tè.»
J.Cortàzar - Il gioco del mondo (Rajuela) - Einaudi
J.Cortàzar - Il gioco del mondo (Rajuela) - Einaudi
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domenica 23 giugno 2013
sabato 22 giugno 2013
venerdì 21 giugno 2013
POIEIN
giovedì 20 giugno 2013
...sarebbe meraviglioso.
...tutti raccontano quel viaggio. Ognuno a modo suo. Tutti senza averlo mai visto. Ma non importa. Non smetteranno mai di raccontarlo. Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno - un padre, un amore, qualcuno - capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume - immaginarlo, inventarlo - e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio. Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano.
A. Baricco - Oceano mare - Feltrinelli
A. Baricco - Oceano mare - Feltrinelli
mercoledì 19 giugno 2013
...la lasciava parlare.
Quel sabato pomeriggio andò in auto dal fornaio al centro acquisti. Dopo aver passato in rassegna le fotografie delle torte appiccicate sulle pagine di un raccoglitore, ordinò quella al cioccolato, la preferita dal bambino. La torta che scelse era sormontata da un razzo spaziale e da una rampa di lancio sotto una manciata di stelle bianche e un pianete di zucchero rosso. Il nome, Scotty, sarebbe stato tracciato a lettere verdi sotto il pianeta. Il fornaio, che era un signore anziano, dal collo spesso, ascoltò senza dire niente quando lei gli spiegò che il bambino avrebbe compiuto otto anni quel lunedì. Il fornaio indossava un grembiule bianco che somigliava a un camiciotto. I legacci gli passavano sotto le braccia girandogli sulla schiena per poi tornare davanti dov’erano legati sotto lo stomaco prominente. Si asciugò le mani nel grembiule ascoltandola. Teneva gli occhi sulle fotografie e la lasciava parlare. Le diede tutto il tempo. Era appena arrivato al lavoro e sene sarebbe rimasto tutta la notte lì al forno e quindi non aveva assolutamente fretta.
R. Carver - Cattedrale - Einaudi
R. Carver - Cattedrale - Einaudi
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martedì 18 giugno 2013
...capocciate
'Fanculo. Alla mia età non sono obbligato a stare al passo coi tempi. Quando guardo le pubblicità dei film dove compaiono un bambolone tenebroso e una sciacquetta con le bocce gonfiate, ciascuno dei quali prende dieci milioni di dollari a inquadratura, mai che alle loro facce riesca a appiccicare un nome. Ai miei tempi quando una donna diventava una star del cinema doveva girare in occhiali da sole e foulard, se non voleva essere fermata ogni due metri; adesso basta che si vesta. Già che ci sono, non ho idea di cosa significhino parole come "cuccare" o "wrappare", né perché i giovani fighetti trovino così chic brucare erbacce al ristorante. Non sono on line, e non lo sarò mai.
Ma torniamo alla lettera di Boogie:
"L'umanità, con tutta evidenza imperfetta, non ha ancora concluso il suo ciclo evolutivo. In un prossimo futuro, magari solo per comodità, i genitali dei due sessi saranno al posto oggi occupato dalla testa, e le bevute, sempre meno necessarie, le faremo sotto la cintura. [...] Tanto il brutale 'fottere' quanto il più delicato 'fare l'amore' lasceranno il posto alla 'capocciata' e a frasi tipo 'Oggi passeggiando per la Fifth Avenue ho incrociato una bona pazzesca, e le ho dato una bella capocciata."
M. Richler - La versione di Barney - Gli Adelphi
Ma torniamo alla lettera di Boogie:
"L'umanità, con tutta evidenza imperfetta, non ha ancora concluso il suo ciclo evolutivo. In un prossimo futuro, magari solo per comodità, i genitali dei due sessi saranno al posto oggi occupato dalla testa, e le bevute, sempre meno necessarie, le faremo sotto la cintura. [...] Tanto il brutale 'fottere' quanto il più delicato 'fare l'amore' lasceranno il posto alla 'capocciata' e a frasi tipo 'Oggi passeggiando per la Fifth Avenue ho incrociato una bona pazzesca, e le ho dato una bella capocciata."
M. Richler - La versione di Barney - Gli Adelphi
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lunedì 17 giugno 2013
...il tempo stagnato
Durante il fine settimana gli avvoltoi s’introdussero attraverso i balconi della casa presidenziale, fiaccarono a beccate le maglie di filo di ferro delle finestre e smossero con le ali il tempo stagnato nell’interno, e all’alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza. Solo allora ci azzardammo a entrare senza prendere d’assalto i muri corrosi di pietra fortificata, come volevano i più risoluti, o sbandellare con coppie di buoi l’entrata principale, come altri proponevano, poiché bastò che qualcuno li spingesse per far cedere nei loro gangheri i portoni blindati che nei tempi eroici della casa avevano resistito alle bombarde di William Dampier.
G.G. Màrquez - L'autunno del patriarca - Mondadori
G.G. Màrquez - L'autunno del patriarca - Mondadori
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domenica 16 giugno 2013
sabato 15 giugno 2013
venerdì 14 giugno 2013
POIEIN
F. V. Eugène Delacroix |
Amica mia, dici,
parlami del mare.
E ti racconto della mia infanzia
che mi insegnò a guardare
la terra come terra,
come cielo il mare.
La valle, la montagna,
erano la realtà.
Il mare l'incertezza
il sogno, l'inquietudine.
E io, tu lo sai bene,
sono rimasta con il mare.
Un giorno vicino al molo
un vecchio pescatore,
tra le mani da bambina,
mi mise una conchiglia.
Lo portai all'orecchio, ne riconobbi il suono
e iniziò a diventarmi
fugace il cuore,
come fragile barca
che porta una canzone.
Attraverso le mie vene che partono
da un lontano Simbad,
me ne vado, strano cammino,
a cercare un altro mare
dove un giorno mi vedranno
navigando a caso,
la distanza negli occhi,
il viso contro il vento.
Ancora mi bacia le labbra
il sapore del sale.
Amica mia, dici,
parlami del mare.
Meira Delmar
giovedì 13 giugno 2013
Seduta stante
L’ultima volta che vidi Miguel Desvern o Deverne fu anche l’ultima volta che lo vide la moglie, Luisa, il che continua ad apparire strano e forse ingiusto, dal momento che lei era questo, sua moglie, e io ero invece una sconosciuta e non avevo mai scambiato con lui una sola parola. Non sapevo neppure il suo nome, lo seppi soltanto quando ormai era tardi, quando comparve la sua foto sul giornale, pugnalato e mezzo scoperto e sul punto di trasformarsi in un morto, ammesso che già non lo fosse per la sua stessa coscienza assente che non tornò piú a farsi presente: l’ultima cosa di cui si dovette render conto era che lo stavano accoltellando per sbaglio e senza motivo, cioè in maniera imbecille, e oltretutto una volta e poi ancora un’altra, senza via di scampo, non una sola, con l’intento di eliminarlo dal mondo e di scacciarlo senza dilazione dalla terra, seduta stante. Tardi per che cosa, mi domando. La verità è che lo ignoro. Solo che quando qualcuno muore, pensiamo che ormai si sia fatto tardi per qualunque cosa, per tutto – tanto piú per aspettarlo –, e ci limitiamo a darlo per cancellato. Anche i nostri congiunti, sebbene ci costi molto di piú e li piangiamo, e la loro immagine ci accompagni nella mente quando camminiamo per le strade e in casa, e crediamo per molto tempo che non ci abitueremo. Ma sin dall’inizio sappiamo – sin da quando ci muoiono – che non dobbiamo piú contare su di loro...
J. Marías - Gli innamoramenti - Einaudi
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mercoledì 12 giugno 2013
I sentimenti...
Sentimentale, che parola è mai questa. Io ho dei sentimenti e non me ne vergogno. Non in-tendo reprimerli, desidero
averli. Sono assai numerosi, si contraddicono a vicenda, non bisogna provare a ridurli a una linea mediana. Se ci investono con troppa veemenza, è lecito, per placarli, metterli per iscritto. Ma è anche vero che Rousseau, per esempio, mi è stato spesso insopportabile proprio a causa del suo sentimentalismo. Ciò dipende dal fatto che in verità non ci piace l'uomo che mette in mostra tutti i suoi sentimenti. Sono troppo ingombranti, i sentimenti, e troppo spesso si presentano come altruistici. Tuttavia, se pensiamo all'influsso di Rousseau sui sentimenti degli altri, la sua grandezzaci appare smisurata, e quasi diventa irrilevante l'influsso che i suoi sentimenti hanno avuto sulla sua persona.
E. Canetti - La tortura delle mosche - Gli Adelphi
averli. Sono assai numerosi, si contraddicono a vicenda, non bisogna provare a ridurli a una linea mediana. Se ci investono con troppa veemenza, è lecito, per placarli, metterli per iscritto. Ma è anche vero che Rousseau, per esempio, mi è stato spesso insopportabile proprio a causa del suo sentimentalismo. Ciò dipende dal fatto che in verità non ci piace l'uomo che mette in mostra tutti i suoi sentimenti. Sono troppo ingombranti, i sentimenti, e troppo spesso si presentano come altruistici. Tuttavia, se pensiamo all'influsso di Rousseau sui sentimenti degli altri, la sua grandezzaci appare smisurata, e quasi diventa irrilevante l'influsso che i suoi sentimenti hanno avuto sulla sua persona.
E. Canetti - La tortura delle mosche - Gli Adelphi
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martedì 11 giugno 2013
...e non c'è niente da capire.
68
Appena lui le ammalava il nomea, a lei sopraggiungeva la clamide e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti. Ogni volta che lui cercava di lequire le incopeluse, si avviluppava in un grimado lamentoso e doveva invulsinarsi di fronte al novello, sentendo in qual modo a poco a poco le arniglie si speculavano, peltronandosi, redduplinandosi, fino a restare come il trimalciato di ergomanina al quale son state lasciate cadere delle fillule di cariconcia. E tuttavia era appena il principio, perché a un certo punto lei si torturava gli irgugli, permettendogli di avvicinarvi dolcemente gli orfani. Appena si intrapiuvavano, qualcosa simile ad un ulucordio li faceva raccostare, li contrunniva e li parammoveva, all'improvviso era l'uragano, la stervorosa convolcante delle materglie, l'annesante inboccapluvia dell'orgomio, gli esproemi del mirpasmo in una surrumitica argonauta. Evohè! Evohè! Avvolpati nella cresta del morelio, si sentivano balparamare, perlacei e marili. Tremava il trac, erano vinte le marpenne, e tutto si ressogliva in un profondo pinnice, in nioremi d'argatesi garze, in carenie quasi crudeli che li attanagliavano fino al limite delle cunfee.
J. Cortàzar - Il gioco del mondo ( Rajuela ) - Un invenzione sfrenata- Einaudi
Appena lui le ammalava il nomea, a lei sopraggiungeva la clamide e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti. Ogni volta che lui cercava di lequire le incopeluse, si avviluppava in un grimado lamentoso e doveva invulsinarsi di fronte al novello, sentendo in qual modo a poco a poco le arniglie si speculavano, peltronandosi, redduplinandosi, fino a restare come il trimalciato di ergomanina al quale son state lasciate cadere delle fillule di cariconcia. E tuttavia era appena il principio, perché a un certo punto lei si torturava gli irgugli, permettendogli di avvicinarvi dolcemente gli orfani. Appena si intrapiuvavano, qualcosa simile ad un ulucordio li faceva raccostare, li contrunniva e li parammoveva, all'improvviso era l'uragano, la stervorosa convolcante delle materglie, l'annesante inboccapluvia dell'orgomio, gli esproemi del mirpasmo in una surrumitica argonauta. Evohè! Evohè! Avvolpati nella cresta del morelio, si sentivano balparamare, perlacei e marili. Tremava il trac, erano vinte le marpenne, e tutto si ressogliva in un profondo pinnice, in nioremi d'argatesi garze, in carenie quasi crudeli che li attanagliavano fino al limite delle cunfee.
J. Cortàzar - Il gioco del mondo ( Rajuela ) - Un invenzione sfrenata- Einaudi
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lunedì 10 giugno 2013
Compiuta la formalità...
Oltre all'umidità che rendeva più spessa l'atmosfera, già di per sé pesante in quella sala interna, con due
sole finestrelle che davano su un cortile buio anche nei giorni di sole, l'inquietudine, per usare il paragone vernacolo, si tagliava con il coltello. Sarebbe stato preferibile rinviare le elezioni, disse il rappresentante del partito di mezzo, p.d.m., è da ieri che sta piovendo senza sosta, ci sono frane e allagamenti dappertutto, l'astensione, stavolta, avrà un'impennata. Il rappresentante del partito di destra, p.d.d., fece un cenno di assenso col capo, ma considerò che il suo contributo alla conversazione doveva assumere la forma di un commento prudente, Ovviamente, non minimizzo questo rischio, penso tuttavia che l'affinato spirito civico dei nostri concittadini, in tante altre occasioni dimostrato, sia creditore di tutta la nostra fiducia, loro sono consapevoli, oh sì, decisamente consapevoli della trascendente importanza di queste elezioni municipali per il futuro della capitale. Detto ciò, l'uno e l'altro, il rappresentante del p.d.m. e il rappresentante del p.d.d., con aria un po' scettica e un po' ironica, si rivolsero al rappresentante del partito di sinistra, p.d.s., curiosi di sapere che specie di opinione sarebbe stato capace di produrre costui. In quel preciso istante, schizzando acqua dappertutto, fece irruzione nella sala il supplente della presidenza e, come c'era da aspettarsi, visto che l'elenco del seggio della sezione veniva così completato, l'accoglienza fu, più che cordiale, calorosa. Non siamo dunque giunti a conoscere il punto di vista del rappresentante del p. d. s., ma, a giudicare da alcuni precedenti noti, c'è da presumere che non avrebbe mancato di esprimersi sulla linea di un chiaro ottimismo storico, con una frase come questa, per esempio, I votanti del mio partito sono persone che non si intimoriscono per così poco, non è gente da restarsene a casa per quattro misere gocce d'acqua che cadono dalle nuvole. Per la verità, non erano quattro misere gocce, erano secchiate, erano brocche, erano nili, iguazús e iangtsés, ma la fede, sia essa per sempre benedetta, oltre a rimuovere le montagne dal cammino di coloro che del suo potere beneficiano, è fin capace di avventurarsi nelle acque più torrenziali e venirne fuori asciutta.
Si costituì dunque il seggio, ciascuno nel posto che gli competeva, il presidente firmò il bando e ordinò al segretario di andare ad affiggerlo, come determina la legge, alla porta dell'edificio, ma questi, dando prova di una sensatezza elementare, fece notare che il foglio di carta non avrebbe resistito sul muro neanche un minuto, in due amen si sarebbe stinto l'inchiostro, al terzo se lo sarebbe portato via il vento. Allora lo metta dentro, dove la pioggia non ci arrivi, su questo particolare la legge è lacunosa,
l'importante è che il bando sia affisso e bene in vista. Domandò ai colleghi se fossero d'accordo, tutti risposero di sì, con la riserva avanzata dal rappresentante del p.d.d. che la decisione fosse registrata agli atti per prevenire eventuali impugnazioni. Quando il segretario tornò dalla sua umida missione, il presidente domandò com'era il tempo e lui, stringendosi nelle spalle, rispose, Tale e quale, alluvionale, Neanche l'ombra. Il presidente si alzò e invitò i membri del seggio e i rappresentanti dei partiti ad accompagnarlo nell'ispezione della cabina di voto, che risultò scevra da elementi che potessero svisare la purezza delle scelte politiche che vi avrebbero avuto luogo durante il giorno. Compiuta la formalità, tornarono ai propri posti per esaminare i registri elettorali, che pure riscontrarono scevri da irregolarità, lacune e sospetti. Era giunto il momento grave in cui il presidente scoperchia ed esibisce l'urna agli elettori perché possano accertarsi che sia vuota, affinché un domani, se necessario, siano validi testimoni che nessuna azione delittuosa vi avesse introdotto, di soppiatto, i voti falsi che avrebbero corrotto la libera e sovrana volontà politica dei cittadini, che ancora una volta non si sarebbe ripetuta in questa occasione quella famosa frode cui si dà il pittoresco nome di broglio che, non dimentichiamolo, tanto si potrà commettere prima come durante o dopo l'atto, secondo l'occasione e l'efficienza dei suoi autori e complici. L'urna era vuota, pura, immacolata, ma nella sala non c'era un solo elettore, uno soltanto per campione, cui poterla esibire. Forse ce n'è qualcuno che vaga smarrito, alle prese con l'acquazzone, sotto le sferzate del vento, stringendosi al cuore il documento che lo accredita come cittadino in diritto di votare, ma, da come stanno le cose nel cielo, ci metterà un bel pezzo ad arrivare fin qua, a meno che alla fine non se ne torni a casa e lasci i destini della città nelle mani di quelli che un'automobile nera viene a lasciare davanti alla porta e davanti alla porta verrà poi a riprendere, compiuto il dovere civico di chi ne occupava il sedile posteriore.
Terminate le operazioni di ispezione dei vari materiali, detta la legge di questo paese che votino immediatamente il presidente, i membri del seggio e i rappresentanti di lista, nonché i rispettivi supplenti, purché, sia chiaro, siano iscritti nella sezione elettorale del cui seggio fanno parte, come in questo caso.
Si costituì dunque il seggio, ciascuno nel posto che gli competeva, il presidente firmò il bando e ordinò al segretario di andare ad affiggerlo, come determina la legge, alla porta dell'edificio, ma questi, dando prova di una sensatezza elementare, fece notare che il foglio di carta non avrebbe resistito sul muro neanche un minuto, in due amen si sarebbe stinto l'inchiostro, al terzo se lo sarebbe portato via il vento. Allora lo metta dentro, dove la pioggia non ci arrivi, su questo particolare la legge è lacunosa,
l'importante è che il bando sia affisso e bene in vista. Domandò ai colleghi se fossero d'accordo, tutti risposero di sì, con la riserva avanzata dal rappresentante del p.d.d. che la decisione fosse registrata agli atti per prevenire eventuali impugnazioni. Quando il segretario tornò dalla sua umida missione, il presidente domandò com'era il tempo e lui, stringendosi nelle spalle, rispose, Tale e quale, alluvionale, Neanche l'ombra. Il presidente si alzò e invitò i membri del seggio e i rappresentanti dei partiti ad accompagnarlo nell'ispezione della cabina di voto, che risultò scevra da elementi che potessero svisare la purezza delle scelte politiche che vi avrebbero avuto luogo durante il giorno. Compiuta la formalità, tornarono ai propri posti per esaminare i registri elettorali, che pure riscontrarono scevri da irregolarità, lacune e sospetti. Era giunto il momento grave in cui il presidente scoperchia ed esibisce l'urna agli elettori perché possano accertarsi che sia vuota, affinché un domani, se necessario, siano validi testimoni che nessuna azione delittuosa vi avesse introdotto, di soppiatto, i voti falsi che avrebbero corrotto la libera e sovrana volontà politica dei cittadini, che ancora una volta non si sarebbe ripetuta in questa occasione quella famosa frode cui si dà il pittoresco nome di broglio che, non dimentichiamolo, tanto si potrà commettere prima come durante o dopo l'atto, secondo l'occasione e l'efficienza dei suoi autori e complici. L'urna era vuota, pura, immacolata, ma nella sala non c'era un solo elettore, uno soltanto per campione, cui poterla esibire. Forse ce n'è qualcuno che vaga smarrito, alle prese con l'acquazzone, sotto le sferzate del vento, stringendosi al cuore il documento che lo accredita come cittadino in diritto di votare, ma, da come stanno le cose nel cielo, ci metterà un bel pezzo ad arrivare fin qua, a meno che alla fine non se ne torni a casa e lasci i destini della città nelle mani di quelli che un'automobile nera viene a lasciare davanti alla porta e davanti alla porta verrà poi a riprendere, compiuto il dovere civico di chi ne occupava il sedile posteriore.
Terminate le operazioni di ispezione dei vari materiali, detta la legge di questo paese che votino immediatamente il presidente, i membri del seggio e i rappresentanti di lista, nonché i rispettivi supplenti, purché, sia chiaro, siano iscritti nella sezione elettorale del cui seggio fanno parte, come in questo caso.
J. Saramago - Saggio sulla lucidità - Einaudi
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domenica 9 giugno 2013
sabato 8 giugno 2013
venerdì 7 giugno 2013
POIEIN
Ciò che ho scritto di noi
Ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
è la mia nostalgia
cresciuta sul ramo inaccessibile
è la mia sete
tirata su dal pozzo dei miei sogni
è il disegno
tracciato su un raggio di sole
ciò che ho scritto di noi è tutta verità
è la tua grazia
cesta colma di frutti rovesciata sull'erba
è la tua assenza
quando divento l'ultima luce all'ultimo angolo della via
è la mia gelosia
quando corro di notte fra i treni con gli occhi bendati
è la mia felicità
fiume soleggiato che irrompe sulle dighe
ciò che ho scritto di noi è tutta una bugia
ciò che ho scritto di noi è tutta verità.
Nazim Hikmet Ran
giovedì 6 giugno 2013
...ma neanche
E in effetti, in quella mattina d'estate, l'alba dilagava nel cielo terso con tale sicurezza che perfino quei sobborghi senza ambizioni sembravano colti di sorpresa, finendo per cedere a una qualsiasi bellezza per cui non erano stati costruiti. C'erano dei bagliori ottimisti alle finestre, e l'erba poca brillava, dov'era, di un verde inaspettato. Passavano macchine, rare, e anche loro sembravano aver sospeso qualsiasi fretta particolare, come se stessero attraversando una tregua. L'uomo e la ragazza camminavano uno di fianco all'altra, ed era uno spettacolo strano perché quella ragazza era bella e l'uomo molto qualunque, oltre che vecchio. Si sarebbe penato a capirne la storia nel vederli, lei sui suoi tacchi alti, il passo sicuro, lui un po' curvo, con un set di asciugamani bianchi sotto il braccio. Forse un padre e una figlia, ma neanche.
A. Baricco - Tre volte all'alba - Feltrinelli
A. Baricco - Tre volte all'alba - Feltrinelli
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mercoledì 5 giugno 2013
...una sera di metà aprile
Giugiù era di bona famiglia, serio, educato, studiusu, faceva il terzo anno di Medicina a Palermo. Suo padre, don Antonio, che aveva giuste conoscenze, l'aveva fatto riformare alla visita di leva indove un medico appartato gli attrovò il core malandato assà. Invece Giugiù,almeno fino al momento che incontrò a Lulla, il core l'aveva sanissimo. Era stato fatto zito - e lui, figlio d'oro, aveva obbedito alla volontà paterna e materna- con una lontana cugina, una picciotteddra devota, canticchia grossa e con l'occhiali, che andava ogni jorno in chiesa. Nineta, accussì faceva di nome la promessa mogliere, dopo dù anni di zitaggio gli aveva primisso di vassalla non supera le labbra, ma allato. E po' era corsa in chiesa a confessarsi. E questa era stata la prima e l'ultima volta che la vacca del picciotto aveva toccato la pelle della zita. Perciò fu proprio per necessità di natura che Giugiù Firruzza, tenni e tenni fino a che non la tenne più, una sera di metà aprile s'arrisolvette a trasire, vrigognoso, dintra al portone della Pensione Eva.
A. Camilleri - La pensione Eva - Mondadori
A. Camilleri - La pensione Eva - Mondadori
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martedì 4 giugno 2013
Temporeggiare...
A. Oz - Conoscere una donna - Feltrinelli
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lunedì 3 giugno 2013
...il nostro problema
“Io sono fatto d’acqua. Non ve ne potete accorgere perché faccio in modo che non esca fuori. Anche i miei amici sono fatti d’acqua. Tutti quanti. Il nostro problema è che non solo dobbiamo andarcene in giro senza essere assorbiti dal terreno ma, anche, che dobbiamo guadagnarci da vivere”.
P. K. Dick - Confessioni di un artista di merda - Fanucci
P. K. Dick - Confessioni di un artista di merda - Fanucci
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domenica 2 giugno 2013
sabato 1 giugno 2013
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