martedì 11 giugno 2013

...e non c'è niente da capire.

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Appena lui le ammalava il nomea, a lei sopraggiungeva la clamide e cadevano in idromorrie, in selvaggi ambani, in sossali esasperanti. Ogni volta che lui cercava di lequire le incopeluse, si avviluppava in un grimado lamentoso e doveva invulsinarsi di fronte al novello, sentendo in qual modo a poco a poco le arniglie si speculavano, peltronandosi, redduplinandosi, fino a restare come il trimalciato di ergomanina al quale son state lasciate cadere delle fillule di cariconcia. E tuttavia era appena il principio, perché a un certo punto lei si torturava gli irgugli, permettendogli di avvicinarvi dolcemente gli orfani. Appena si intrapiuvavano, qualcosa simile ad un ulucordio li faceva raccostare, li contrunniva e li parammoveva, all'improvviso era l'uragano, la stervorosa convolcante delle materglie, l'annesante inboccapluvia dell'orgomio, gli esproemi del mirpasmo in una surrumitica argonauta. Evohè! Evohè! Avvolpati nella cresta del morelio, si sentivano balparamare, perlacei e marili. Tremava il trac, erano vinte le marpenne, e tutto si ressogliva in un profondo pinnice, in nioremi d'argatesi garze, in carenie quasi crudeli che li attanagliavano fino al limite delle cunfee.



J. Cortàzar - Il gioco del mondo ( Rajuela ) - Un invenzione sfrenata-  Einaudi

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