Ho rovistato un po’ nello studio di mia moglie. Ho trovato delle penne a sfera in un cestino sulla scrivania. E poi mi sono sforzato di pensare a dove potevo trovare il tipo di carta che mi aveva chiesto.
Sono sceso in cucina e ho trovato una busta di carta del supermercato che aveva ancora delle bucce di cipolla in fondo. L’ho svuotata scuotendola per bene. L’ho portata di là in soggiorno e mi sono seduto per terra vicino alle gambe del cieco. Ho spostato un po’ di roba, ho allisciato la busta e l’ho stesa sul tavolino.
Il cieco si è tirato giù dal divano e si è seduto accanto a me sul tappeto.
Ha passato le dita sulla busta. Ne ha sfiorato su e giù i margini.
I bordi, perfino i bordi. Ne ha tastato per bene gli angoli.
“Perfetto”, ha detto. “Perfetto, facciamola”.
Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto. “Disegna.
Vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene. Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco.
E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo. Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie. Roba da matti.
“Benone”, ha detto lui. “Magnifico. Vai benissimo”, ha detto.
“Non avevi mai pensato che una cosa del genere ti potesse succedere, eh, fratello? Be’, la vita è strana, sai. Lo sappiamo tutti. Continua pure. Non smettere”.
Ci ho messo dentro finestre con gli archi. Ho disegnato archi rampanti. Grandi portali. Non riuscivo a smettere. I programmi della televisione erano finiti. Ho posato la penna e ho aperto e chiuso le dita. Il cieco continuava a tastare la carta. La sfiorava con la punta delle dita, passando sopra a tutto quello che avevo disegnato, e annuiva.
“Vai forte”, ha detto infine.
Ho ripreso la penna e lui ha ritrovato la mia mano. Ho continuato ad aggiungere particolari. Non sono certo un artista. Ma ho continuato a disegnare lo stesso.
Mia moglie ha aperto gli occhi e ci ha fissato. Si è tirata a sedere sul divano, con la vestaglia tutta aperta. Ha detto: “Che cosa state facendo? Ditemelo, voglio sapere”.
Non le ho risposto.
Il cieco ha detto: “Stiamo disegnando una cattedrale. Ci stiamo lavorando insieme, io e lui. Premi più forte”, ha detto, rivolto a me.
“Sì, così. Così va bene”, ha aggiunto. “Certo. Ce l’hai fatta, fratello.
Si capisce bene, adesso. Non credevi di farcela, eh? Ma ce l’hai fatta, ti rendi conto? Adesso sì che vai forte. Capisci cosa voglio dire? Tra un attimo qui avremo un vero capolavoro. Come va il braccio?”, ha chiesto. “Ora mettici un po’ di gente. Che cattedrale è senza la gente?” Mia moglie ha chiesto: “Ma che succede? Robert, che cosa stai facendo? Si può sapere che succede?” “Tutto a posto”, le ha detto lui. “E adesso chiudi gli occhi”, ha aggiunto, rivolto a me.
L’ho fatto. Li ho chiusi proprio come m’ha detto lui.
“Li hai chiusi?”, ha chiesto. “Non imbrogliare”.
“Li ho chiusi”, ho risposto io.
“Tienili così”, ha detto. Poi ha aggiunto: “Adesso non fermarti.
R. Carver - Cattedrale - Einaudi
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